Social Media Marketing
Alla #SocialMediaWeek di #Roma il #giornalismo è open source

Alla #SocialMediaWeek di #Roma il #giornalismo è open source

Se Facebook e, più in generale, i social network stanno portando sempre più traffico ai siti di news, come li stanno influenzando? Al quesito si è provato a rispondere durante il seminario “Open source journalism” organizzato nell’ambito della Social Media Week di Roma.

Social Media Week Roma, seminario su Open Source Journalism (Foto di Giacomo Gabrielli – Toiati)

Presenti, una platea di giovani studenti e giornalisti interessati a capire le nuove sfide della professione, spiegate dai protagonisti di questa fase di transizione dell’informazione verso il digitale. Quattro le testate invitate a parlare: per l’Ansa, Massimo Sebastiani, capo redattore centrale; per Leggo the social press, il direttore Alvaro Moretti; per il Messaggero, il responsabile della redazione Internet Davide Desario; per Rai News, Lorenzo Ottolenghi, vice direttore e responsabile dell’area internet. A moderare il dibattito, Filippo Poletti, social media specialist presso Fiera Milano Spa.

Oggi, spiegano i relatori, è in atto una vera rivoluzione che parte proprio dalle persone. La mattina ci si sveglia, si prende il caffè, ci si prepara ad andare a lavoro o all’università. Nel frattempo però, si butta un occhio allo smartphone, si apre la pagina Facebook, si controllano bacheca, like e notifiche. La stessa cosa succede al bar davanti al cappuccino, quando si è in coda al semaforo, in pausa lavoro, a pranzo. Se si trova una notizia sulla Home, velocemente si condivide sulla bacheca.

Soprattutto se ha un titolo accattivante e una foto curiosa. I social network, anche in Italia, sono diventati la vera piazza. Se l’informazione passa sempre di più per Facebook e Twitter, allora bisogna acquisire i loro linguaggi, adeguarsi ad una gestione della notizia veloce e a un consumo ‘mordi e fuggi’. La news deve diventare sintetica, un flash. Ma soprattutto deve essere letta.

Con una provocazione benevola, l’invito alla platea è stato quello di ‘smetterla di essere tutte innamorate della Fallaci o di sentirsi Montanelli’. Oggi, se non si vuole fare la fine dei dinosauri, c’è bisogno di giornalisti che sappiano essere analisti, ma anche ‘social media operator’, ovvero gestire contenuti veicolati in questi nuovi terreni e usare il web per rintracciare la notiziabilità. Desario, per descrivere questa nuova fase, citando Mantellini di Manteblog, parla di ‘illuminismo tecnologico’ ( Messaggero.it, secondo i dati Audiweb, a giugno ha registrato un nuovo balzo di oltre il 64% rispetto allo stesso mese del 2013), ma sottolinea anche la resistenza in atto a questo flusso ( curioso il caso di un fax ricevuto al giornale ai tempi delle Regionali dove si avvisava che un onorevole aveva fatto un tweet ).

I lettori vanno conquistati e il successo dell’informazione si gioca anche attraverso le strategie social. Caso emblematico della resistenza dei giornalisti della vecchia guarda sono i titoli, spiegano i relatori. Non ci si vuole piegare all’algoritmo di google. Ma è fondamentale mettere nel titolo quelle parole chiave che aumentano l’indicizzazione e fanno trovare su google news la notizia. Secondo il Reuters Digital Report, se in Italia la ricerca per singole testate è ancora molto forte, il pubblico giovane è il più ‘search’ di tutti. Anziché andare sulla homepage del sito, si va a cercare l’argomento sulla pagina di google. Un particolare sforzo va fatto quindi per ottimizzare il SEO ( Search Engine Optimization ). Perché, se non si può dire che qui il ruolo dell’homepage sia moribondo come invece afferma il New York Times nel suo rapporto, è pur vero che i lettori, sempre più social, sulla home ce li devi portare.

Fin’ora, a guardare i dati Audiweb, le strategie messe in campo da Ansa, Leggo, Messaggero e Rai News sono vincenti. Se l’Ansa a marzo scorso ha presentato il restyling del sito, inglobando i social network, esemplare in quanto a capacità di adeguarsi ai tempi moderni è il caso di Leggo, che propone un uso ‘sfacciato’ di Facebook, Twitter e Instagram. Il giornale stesso dal 2011 ha cambiato nome e si chiama Leggo the social press; da maggio scorso dedica una pagina al giorno del free press ai social network, pubblica il tweet del giorno ( il primo fu di Matteo Renzi ) e la testata ha inserito il codice QR per permettere ai lettori di agganciarsi ai video. Citando i dati Audiweb, Moretti sottolinea i numeri record di crescita di Leggo proprio da maggio in poi. E rifatta l’homepage della versione mobile, con spazio per foto e titoli, c’è stato il boom ( Facebook lo aveva detto ).

Persino Ottolenghi di Rai News parla di questa fase di passaggio come di un’opportunità per chi fa informazione. L’obiettivo che si dà è di far diventare Rainews.it il sito di informazione della Rai, inglobando le notizie regionali. Ottolenghi è andato a vedere cosa guarda di più la gente. Nella top ten ci sono le photogallery perchè i fruitori di notizie vogliono cose leggere. E così è nata una campagna di successo che invita i lettori a mandare le foto dell’Italia che non vogliono più vedere.

L’incontro alla Social Media Week è finito parlando di ‘selfie’, parola del 2013 secondo Oxford dictionaries. Una vera e propria mania, secondo i relatori, divertente e imprescindibile oggi. E chissà se anche dentro a un selfie si possa, guardando bene, trovare la notizia. Un paradosso, ma neanche tanto, basta pensare al primo selfie di Papa Francesco. Oggi i post della rete sono un mare infinito, dove c’è tanto spazio per la propaganda, avvisano i relatori, ma per la platea arriva l’incoraggiamento: con la struttura del giornalista, la scuola della cronaca (che Desario ritiene fondamentale per la formazione) e il fatto di essere nativi digitali, si può riuscire a spiccare il volo…

Tratto da ilmessaggero.it

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